Intervista a Carlo Volpe e ai protagonisti della trentasettesima edizione.
Tra le colline di Berchidda, nel cuore della Sardegna, le note di grandi artisti internazionali, come Vinicio Capossela, Kenny Garrett e Theo Croker, si intrecciano ogni anno nel celebre festival Time in Jazz. Giunto alla sua 37° edizione, l’evento fondato dalla visione di Paolo Fresu, è riuscito a evolversi in uno dei più importanti appuntamenti jazzistici a livello internazionale.
L’edizione di quest’anno, tenutasi dall’8 al 16 agosto, ha visto al centro della scena, non soltanto i 50 artisti di fama mondiale, ma anche il debutto del mixer Midas Heritage-D. L’allestimento del festival con un palco centrale e uno stage after show, è stata affidata interamente a Fox Sound Service per il sesto anno consecutivo.
Com’è andata?
Sebbene Midas sia ormai una presenza consolidata, con i mixer della serie PRO, che hanno accompagnato le edizioni passate e un Venice analogico ancora in uso per i concerti esterni. L’introduzione del Heritage-D ha rappresentato un cambio banco significativo per i fonici, che si sono trovati a operare con un mixer che non avevano mai testato né provato prima.
Enrico Fodde (Pre-Sales Engineer di Prase), raccoglie i commenti a caldo di Carlo Volpe, Ascanio Cusella, Riccardo Bomarsi, ed infine Luca Devito, rispettivamente il titolare di Fox Sound Service, il fonico FoH residente, il fonico di palco e il direttore tecnico, per farci entrare dietro le quinte e testare questa novità audace.
E: Cambiare console comporta sempre un rischio. Avevi timori al riguardo?
Carlo Volpe: Certo, c’è sempre un po’ di timore quando si cambia strada, ma la tecnologia avanza, e Time in Jazz si adegua rapidamente ai tempi che cambiano e alle esigenze tecniche sempre più elevate. Il cambiamento era inevitabile, e quest’anno è sembrato il momento giusto, anche grazie al supporto fondamentale di Prase, che ha fornito una persona che supportasse i vari fonici durante tutte le serate.Grazie a questo, abbiamo garantito una transizione senza intoppi.
L’obiettivo principale era migliorare la qualità del suono, aumentare l’efficienza operativa e semplificare la gestione tecnica, soprattutto in un contesto di festival dove si devono gestire diversi artisti e configurazioni audio in tempi molto ridotti.
E: Ci spieghi il setup dei mixer che avete scelto?
Carlo Volpe: La configurazione dei mixer per il palco centrale è abbastanza standard. Abbiamo un Heritage-D sul palco e uno in FoH. I segnali sono raccolti attraverso 3 stagebox DL231 (ciascuna con 24 In e 24 Out), che, grazie al doppio preamplificatore, rendono indipendente il lavoro dei due fonici in termini di gestione dei guadagni analogici ed evitano rilanci da un mixer all’altro. Le uscite di due stagebox sono controllate dal mixer di palco, per la gestione dei vari monitor sul palco, mentre la terza è gestita dal FoH per il controllo del PA.
Sempre localizzate sul palco, troviamo due hub di porte AES50 DN9680, uno per il mixer di monitor e uno per il FoH, con cui raccogliamo i segnali delle stagebox in maniera ridondata (2 cavi per ciascuna). Vista la distanza da percorrere tra il palco ed il FoH, abbiamo deciso di ridondare anche la connessione HyperMAC in fibra tra la DN9680 di sala e il mixer, interponendo tra le due una AS80.
L’ultima particolarità riguarda la gestione dei canali che passano da un mixer all’altro, utili, ad esempio, per le comunicazioni tra i fonici. Abbiamo deciso di tenere entrambi i banchi come master clock, passando due flussi AES50 attraverso una DN9650 con scheda KT-AES50 che effettua il resampling, e slega, quindi, i clock delle due console.
Infine, grazie alla scheda DANTE inserita su uno dei due slot del banco in FoH, abbiamo registrato i multitraccia di ogni concerto, lavoro fondamentale per un festival come Time in Jazz che tiene un proprio archivio di concerti da 37 anni.
E: Lavorando da tanti anni come fonico residente a Time in Jazz, hai avuto la possibilità di provare diversi mixer. Come hai trovato l’esperienza con questo nuovo banco di regia? Ci sono stati aspetti che ti hanno colpito particolarmente?
Ascanio Cusella: Sì, è stata un’esperienza interessante. Avevo già preso confidenza con l’interfaccia grazie all’editor, quindi mi era chiaro il modo di ragionare del mixer. Tuttavia, nonostante questa familiarità, l’esperienza dal vivo è stata una rivelazione. L’editor non ti permette di percepire il risultato finale in termini di resa sonora. Il suono che ho sentito con il Heritage-D è stato una piacevole sorpresa. È in linea con la qualità della serie PRO, di cui sono utilizzatore come fonico residente anche alla Casa del Jazz di Roma da tanti anni, ma con molti miglioramenti che si sono rivelati davvero efficaci. Inoltre, tra le cose che ho apprezzato di più ci sono la risposta immediata dei controlli, ad esempio non bisogna intervenire pesantemente sull’EQ per sentirne una differenza, ed un numero congruo di fader (24+4) che mi permettono di avere un controllo trattile diretto.
Il fonico di palco, Riccardo Bomarsi, che occupa questa posizione per il suo quinto anno di festival, aggiunge altri feedback positivi e ci racconta come ha gestito gli aspetti pratici, considerando che spesso ci sono più artisti per sera.
E: Quali funzionalità specifiche del Heritage-D ti sono state più utili? Cosa è cambiato per te?
Riccardo Bomarsi: Una delle funzionalità che ho apprezzato maggiormente è l’uso della funzione “Manchino”, che mi permette di gestire i vari ascolti in modo efficiente. Posso assegnare canali o gruppi a un fader dedicato tramite la funzione di Pin, per controllarli senza dover navigare tra diversi layer. Inoltre, l’utilizzo dei VCA mi consente di controllare simultaneamente più canali correlati, migliorando la rapidità nelle regolazioni durante il live. Questo è particolarmente utile quando devo intervenire su più strumenti allo stesso tempo. Rispetto agli anni scorsi, in cui abbiamo lavorato con dei PRO2, il cambiamento più significativo è stato sicuramente l’interfaccia intuitiva. Inoltre, un grosso vantaggio rispetto ad altri banchi è la possibilità di creare una “scena madre” e utilizzare le funzioni di “scene safe” per proteggere parametri critici che non devono cambiare tra una scena e l’altra, come ad esempio le configurazioni di patching o i livelli dei monitor.
E: Riccardo, tu hai gestito anche la parte microfonica. Possiamo conoscere il setup?
Riccardo Bomarsi: Abbiamo implementato un sistema Shure Axient Digital con due ricevitori (uno per palco) e antenne RF Venue per estendere la copertura tra il main stage e l’after show stage. Nonostante la sfida delle possibili interferenze tra i due palchi, siamo riusciti a evitare problemi di intermodulazione o drop-out, garantendo una trasmissione chiara e stabile. Per lo staff tecnico è stato utilizzato il sistema Riedel Bolero, un intercom wireless in tecnologia DECT. L’obiettivo era di creare una copertura completa tra il mixer FoH che si trovava a 35 metri dal palco, il backstage e l’after show stage distante 50 metri.”
Torniamo al banco Heritage-D con il direttore tecnico del Time in Jazz, Luca Devito.
E: Cosa ti ha convinto a fare questo cambiamento? Come è stato accolto questo nuovo mixer?
Luca Devito: Sicuramente l’assistenza di cui mi fido, Fox Sound Service, che è il nostro partner storico per il service tecnico e Prase, che è stata indispensabile in ogni fase, e si è rivelata fondamentale per rendere l’intero processo il più fluido possibile. Era una scommessa, certo, ma non avrei fatto questo cambiamento senza avere delle solide garanzie di supporto.
È stata una transizione molto positiva. Chiunque abbia utilizzato il mixer, anche per la prima volta, è riuscito a trovare la propria modalità operativa. Ha messo d’accordo tutti, anche gli affezionati dell’analogico.